Sulla pratica Mindfulness… parole di Carol Wilson della Insight Meditation Society

 

“Ho passato parecchi anni della mia pratica di meditazione in attesa del momento in cui, una volta per tutte, sarei approdata al risveglio. Pensavo che questo evento avrebbe avito luogo mentre ero immersa in uno stato di meditazione profonda, dopodiché il resto della mia vita sarebbe stata tutto una crociera. Ora, se noi consideriamo la pratica meditativa in questo modo, ossia la concepiamo come un insieme di attività (per esempio sedute formali e di meditazione camminata) culminanti in una esperienza specifica e idealizzata – l’illuminazione – dopo la quale la vita scorre libera e chiara, noi rischiamo di farci sfuggire l’essenza della pratica. Ed è poi facile che ci sentiamo scoraggiati e confusi se vediamo che la chiarezza e il potere dell’esperienza meditativa non si trasferiscono automaticamente nella nostra vita attiva. Per me fu un enorme sollievo sbarazzarmi di questa aspettativa non realistica.

Allorché noi ci rendiamo conto che la pratica meditativa più profonda è la coltivazione di un atteggiamento e non la ricerca di una esperienza speciale, allora tutta la nostra vita si apre e ogni attività può diventare veicolo di risveglio. La vita è fatta di momenti. La pratica di consapevolezza è semplicemente la coltivazione dell’abilità di incontrare qualunque cosa emerge di momento in momento con totale presenza e a cuore aperto.”

 

 

Quale durata per la pratica?

Domanda: Dottor Kabat-Zinn, per quanto tempo devo meditare?

Risposta: Come faccio a saperlo?

L’interrogativo sulla durata della meditazione continua a essere posto. Da quando abbiamo iniziato il nostro lavoro usando la meditazione per i pazienti della clinica abbiamo avuto l’impressione che sarebbe stato importante per loro sottoporsi subito a periodi di pratica relativamente prolungati. Essendo fortemente convinti del principio che se si chiede molto si ottiene molto e viceversa, ci siamo orientati su quarantacinque minuti quale pratica basilare quotidiana da svolgersi a casa. Tre quarti d’ora ci sembravano sufficienti per instaurare un regime di tranquillità e di osservazione della successione dei vari momenti e forse per sperimentare almeno qualche istante di rilassamento sempre più profondo e un senso di benessere. Ritenevamo anche che quell’intervallo di tempo potesse offrire ampie occasioni per affrontare gli stati mentali che solitamente speriamo di evitare perché governano la nostra vita e riducono sensibilmente (quando non sopraffanno completamente) la nostra capacità di mantenere calma e consapevolezza. Naturalmente gli accusati sono come al solito noia, impazienza, frustrazione, paura, ansietà (a cui si aggiunge la preoccupazione per le cose che si potrebbero fare se non si perdesse tempo con la meditazione), fantasie, ricordi, risentimento, dolore, fatica e sofferenza.

I risultati hanno confermato la nostra intuizione. La maggior parte dei nostri pazienti si è sottoposta volontariamente alle non sempre facili modifiche nella vita quotidiana, praticando per quarantacinque minuti di seguito per un tempo di almeno otto settimane. E molti non si discostano più da quel nuovo cammino, che non solo diventa facile, ma anche necessario, un’ancora di salvezza.

Ma vi sono controindicazioni a questo modo di vedere le cose. ciò che può essere arduo ma fattibile per una persona in un dato periodo della sua vita potrebbe risultarle impossibile in un altro momento. Nel migliore dei casi concetti come “lungo” e “breve” sono relativi. La madre di bambini piccoli difficilmente potrà disporre di quarantacinque minuti filati per alcunché. Questo significa che non può meditare?

Se la vostra vita è in crisi perpetua o siete immersi in una situazione sociale o economica caotica, potreste avere difficoltà a raccogliere l’energia psichica necessaria per meditare a lungo, anche disponendo di tempo. Sembra che qualcosa si frapponga sempre, in particolare se ritenete di dover disporre di quarantacinque minuti anche come punto di partenza. Praticare in spazi ristretti e occupati da altri familiari potrebbe far sorgere elementi di disturbo e d’impedimento alla pratica quotidiana.

Non ci si può attendere che studenti in medicina possano riservarsi periodi di tempo prolungati per non-agire, e questo vale per molti altri che esercitano professioni stressanti o vivono situazioni impegnative. E anche per chi è mosso da semplice curiosità per la meditazione ma non ha alcun motivo impellente per sottoporsi a un’attività ritenuta scomoda o che richieda troppo tempo.

Per chi cerca equilibrio nell’esistenza, una certa flessibilità di approccio è non solo utile, ma anche essenziale. E’ fondamentale sapere che nella pratica meditativa il tempo non ha molta importanza; cinque minuti di pratica formale possono essere tanto intensi e profondi quanto quarantacinque minuti, o addirittura di più. La sincerità dell’impegno conta molto più del tempo impiegato, dato che in realtà si tratta di dissociarsi dai minuti e dalle ore per entrare nei momenti autenticamente privi di dimensione e pertanto infiniti. Di conseguenza ciò che importa è sentirsi motivati a praticare, anche per poco. La consapevolezza deve essere coltivata e blandita, protetta dai venti di una vita convulsa o di una mente inquieta e tormentata, allo stesso modo in cui una fiammella dev’essere riparata da forti correnti d’aria.

Se poteste trovare cinque minuti, anche uno solo all’inizio, sarebbe davvero meraviglioso; significherebbe che avete già compreso il valore di fermarvi, di passare anche momentaneamente dall’agire all’essere.

Quando insegniamo meditazione agli studenti di medicina per alleviare la tensione e talvolta il trauma dell’istruzione medica nella sua forma attuale, ad atleti che intendono allenare la mente oltre al corpo per ottimizzare la prestazione, a persone sottoposte a un programma di riabilitazione polmonare che devono imparare molte cose oltre che a meditare, oppure a impiegati che partecipano a un corso antistress durante l’intervallo del pranzo, non insistiamo su quarantacinque minuti di pratica al giorno. (Lo facciamo solo con i nostri pazienti o con persone pronte a intraprendere un tale drastico mutamento di vita per loro ragioni personali.) Li sollecitiamo invece a praticare per quindici minuti al giorno di seguito o due volte al giorno se vi riescono.

Se vi riflettete un attimo, pochi fra noi – indipendentemente da ciò che facciamo o dalla nostra situazione personale – troverebbero difficoltà a individuare due spazi di quindici minuti su ventiquattro ore di cui disporre liberamente. Se non quindici, allora dieci o cinque.

In una corda lunga quindici centimetri vi è un numero infinito di punti e altrettanti ve ne sono in tre centimetri. Bene, quanti momenti vi sono in quindici minuti, cinque, dieci o quarantacinque? Il risultato equivale a dire che abbiamo tempo in abbondanza se siamo disposti coscientemente a prendere atto di un certo numero di momenti.

Al centro della consapevolezza vi è l’intenzione di praticare e poi scegliere un momento qualsiasi assimilandolo pienamente con la vostra posizione interiore ed esteriore. Lunghi o brevi periodi di pratica sono egualmente utili, ma quelli lunghi potrebbero non sfociare mai in un esito utile se la vostra frustrazione e altri ostacoli sul vostro cammino fossero eccessivi. Molto meglio avventurarsi in lunghi periodi di pratica gradualmente e di vostra iniziativa, anziché rischiare di non raggiungere la consapevolezza o la quiete perché gli ostacoli sono giudicati insuperabili. Un viaggio di mille miglia inizia di fatto con un solo passo. Quando decidiamo di fare quel passo – ossia sedere anche per brevissimo tempo – possiamo astrarci dal tempo in qualsiasi momento. Da qui provengono tutti i benefici, solo da qui.

“Quando mi cercherai veramente, mi vedrai all’istante – mi troverai nel più piccolo ambito del tempo”.       Kabir

 

 

(testo tratto da Dovunque tu vada ci sei già di Jon Kabat-Zinn)